mercoledì 24 aprile 2013

Una Storia corazzata

Combinare elevata potenza di fuoco insieme ad un'armatura impenetrabile, al riparo della quale un pugno di uomini possa tenere testa ad un intero esercito, il tutto in movimento: ecco la strategia ideale che generazioni e generazioni di generali hanno tentato, con più o meno fortuna, di attuare sul campo di battaglia. Il prototipo, apparentemente insospettabile, getta le radici nel Medio Oriente del secondo millennio a.C., sotto le sembianze del carro falcato di invenzione assira, successivamente reinterpretato da Egizi e Persiani; un carro da guerra trainato da cavalli (che all'epoca non venivano ancora cavalcati, perlomeno in guerra, ma soltanto sfruttati come forza motrice) e munito di lame taglienti sulla testa e sul timone, sui mozzi delle ruote e sulle sponde. Al suo controllo presiedeva un auriga, mentre un secondo soldato, solitamente armato di lancia o preferibilmente arco, scagliava proiettili la cui velocità andava sommata a quella del mezzo, aumentando di conseguenza la penetrazione all'interno delle corazze nemiche.



Il suo utilizzo tramontò in epoca romana, come testimonia questo passo tratto dall' "Epitoma Rei Militari" di Vegezio:

"Il re Antioco e Mitridate utilizzarono in guerra quadrighe falcate. Queste dapprima incussero grande terrore, ma in seguito divennero oggetto di derisione. È infatti difficile trovare un terreno completamente pianeggiante per il carro falcato, il minimo ostacolo gli impedisce la via e viene catturato se solo uno dei due cavalli viene colpito o ferito. Ma la maggior parte di essi furono annientati da questa tecnica adottata dall'esercito romano:non appena si ingaggiava la battaglia, i Romani improvvisamente lanciavano su tutto il campo triboli, contro i quali le quadrighe in corsa scontrandosi si distruggevano. Il Tribolo è una macchina da difesa formata da quattro pali, che, in qualsiasi modo si scagli, sta su tre piedi ed è pericolosa per il quarto piede, che sta dritto"


Fu quindi il turno degli stessi romani introdurre una nuova soluzione bellica capace di contenere le perdite in campo aperto: la temutissima "testuggine" costituiva la nemesi di qualsiasi assediato. Si trattava non più di un vero e proprio mezzo, bensì di una formazione altamente organizzata di legionari, che univano i propri scudi rettangolari a formare una coriacea muraglia su tre lati e sul capo, in modo tale da contrastare il lancio di pietre e frecce dalle mura verso cui la testuggine si avvicinava minacciosa. L'unico punto debole risiedeva appunto nella mancata copertura della retroguardia, una falla che Annibale non mancò di sfruttare nella disfatta di Canne del 216 a.C., durante la Seconda Guerra Punica.




Il Medioevo non apportò grandi cambiamenti al concetto di "carro corazzato", forse perché erano ritenute più che sufficienti le pesanti armature (nel XV secolo si arriverà addirittura a 50 chili, tanto che nessun cavaliere poteva fare a meno del supporto di un paggio incaricato di vestire il proprio signore e di soccorrerlo in caso di ferite) che ogni nobile doveva procurarsi, non soltanto per assicurarsi la dovuta protezione, ma soprattutto per ribadire il proprio status sociale. Nel 1335, però, Guido da Vigevano ultima la sua opera più nota, il "Texaurus regis francie", dove, su incarico di Sua Maestà in persona, illustra le principali innovazioni che offre la tecnologia militare del tempo, con particolare riguardo alla modularità degli elementi costituenti (non si dimentichi che la Guerra dei Cent'anni sarebbe scoppiata da lì a due anni, da qui il bisogno di soluzioni pratiche e facilmente riproducibili); non manca nemmeno una sorta di carro semovente, il cui progetto leggermente utopistico viene presentato a cavallo dei capitoli undicesimo e dodicesimo. Un complesso sistema di ingranaggi, nascosti all'interno di una pesante armatura, mette in moto un primitivo albero motore che trasmette il movimento a ruote dentate, per favorire la presa anche su terreni fangosi; la novità sta però nell'alimentazione di questa diavoleria, che può essere trainata da cavalli, come anche azionata dagli stessi uomini al suo interno o perfino, udite udite, appoggiarsi sulla forza del vento, alla stregua di un mulino su ruote. Ovviamente, a tutt'oggi non risultano riproduzioni realistiche ed efficaci di questi disegni, che tuttavia funsero da ispirazione per il trentenne Leonardo da Vinci, che nel 1482 si apprestava a stupire Ludovico il Moro con tutta una serie di progetti avveniristici, al fine di ingraziarsi il duca di Milano, notoriamente di animo bellicoso. 

""Farò carri coperti, securi e inoffensibili; e quali intrando intra li nimici con le sue artiglierie, non è sì grande moltitudine di gente d’arme che non rompessimo. E dietro a questi potranno seguire fanterie assai illese e senza alcuno impedimento." (Codice Arundel, foglio 1030)

Una corazzatura a piastre metalliche culminava con una sorta di torretta di osservazione, da cui uno degli otto uomini dell'equipaggio forniva le indicazioni balistiche necessarie a dirigere il fuoco della batteria di cannoni distribuita lungo tutta la circonferenza della testuggine lignea. La trazione spettava agli stessi soldati, in quanto l'impiego di animali sembrava rischioso a causa della possibilità che le esplosioni li spaventassero, portando il carro fuori controllo. 


Per i tre secoli successivi, nessuno si curò più di sviluppare armi del genere, probabilmente in mancanza di un'adeguata protezione dalle armi da fuoco. Eppure, con l'avvento dell'acciaio, si fece strada la possibilità di creare corazze sufficientemente spesse da rintuzzare, o almeno frenare, i proiettili nemici, senza rinunciare alla mobilità assicurata dai combustibili moderni, che permettevano di rimpiazzare gli ingranaggi pesanti e soggetti ad inceppamento con semplici motori a scoppio. Furono gli Inglesi a giocarsi per prima questa carta sul campo di battaglia, in piena Prima Guerra Mondiale, come ben descrive Simone Pellizza nel suo saggio online intitolato "Piccoli Titani":





Il termine del conflitto sancì una vera e propria escalation internazionale, volta a schierare di volta in volta il carro armato che meglio coniugasse manovrabilità, potenza di fuoco e protezione. La Germania, cui gli accordi di Versailles avevano espressamente vietato qualsiasi operazione in ambito militare, sviluppò in gran segreto quelli che sarebbero passati alla Storia come "Panzer" (mentre alla comunità internazionale si mostravano filmati inerenti ad esercitazioni con carri di cartone, apparentemente innocui e rassicuranti per le ignare potenze avversarie), i quali nel corso dell'Operazione Barbarossa si sarebbero violentemente scontrati con i famigerati T-34 di Stalin, che, insieme ai successivi modelli T prodotti in serie dalle industrie trasferite al di là degli Urali, avrebbero ricacciato la Wehrmacht fin nei sobborghi di Berlino. Anche sul fronte occidentale vennero schierati fior fiore di carri armati, a partire dagli Sherman americani, che guidarono sia lo sbarco in Normandia, sia l'offensiva delle Ardenne. I Crusader inglesi invece ebbero facilmente ragione dei corazzati in forze all'esercito sabaudo di stanza in Tripolitania; Rodolfo Graziani, comandante del contingente italiano nel biennio 1940-1941,  aveva a disposizione soltanto i carri leggeri L3/35, che, seppur decisamente più veloci del loro corrispettivo inglese (42 contro 24 km/h di velocità di punta), presentavano una corazza spessa a malapena un sesto, uno spazio per l'equipaggio talmente ridotto da poter ospitare a malapena due uomini e una totale mancanza di cannoni, a fronte di un paio di mitragliatrici da 8mm che facevano il solletico ai pochi, ma pesanti, blindati anglo-egiziani. Inutile spiegare il perché dell'appellativo "Scatolette di sardine" che i nostri soldati affibbiarono a quei carri armati terribilmente arretrati...



E oggi? Sul panorama bellico spiccano svariati modelli, dal Leclerc d'Oltralpe al Leopard della nuova Germania, mentre l'Italia recupera un po' di terreno (e di reputazione) con un Ariete forse non all'altezza dei suoi colleghi, ma comunque dotato di una discreta efficienza. Niente comunque può competere con l'Abrams M1 che la Casa Bianca ha più volte schierato nei conflitti combattuti a partire dal 1981, data d'inizio della sua produzione: ha costituito l'ossatura dell'attacco terrestre nel corso dell'Operazione Desert Storm (Prima Guerra del Golfo), per poi riaffermare la sua dimestichezza col deserto nell'occupazione dell'Iraq di Saddam Hussein. La scheda tecnica (tratta da Wikipedia) che lo accompagna ha dell'incredibile: 



Tipo Main Battle Tank
Equipaggio 4 uomini (comandante, pilota, puntatore e servente al pezzo)
Progettista Chrysler Defense (now General Dynamics Land Systems)
Costruttore Lima Army Tank Plant (1980-present)
Detroit Arsenal Tank Plant (1982–1996)
Data entrata in servizio 1981
Utilizzatore principale Stati Uniti
Esemplari Oltre 9000
Costo unitario US$6.21 milioni (M1A2 / FY99)

Dimensioni e pesi

Lunghezza 9,766 m
Larghezza 3,655 m
Altezza 2,895 m
Peso M1: 55,7 t
M1A1:61,3 t
M1A2: 62,1

Propulsione e Motore 
turbina a gas Avco Lycoming AGT-1500
Potenza 1500 hp
Rapporto peso/potenza 24
Trazione cingolata
Sospensioni barra di torsione

Prestazioni

Velocità su strada 56 km/h (M1A2)
Velocità fuori strada 40 km/h (M1A2)
Autonomia 465,29 km (con sistema NBC in uso: 449,19 km)
Armamento e corazzatura
Armamento primario M1: cannone M68 da 105 mm rigato
dall'M1A1 in avanti: cannone a canna liscia M256 da 120 mm
Armamento secondario 1 mitragliatrice M2 da 12,7 mm
2 mitragliatrici M240 7,62 mm
Corazzatura Composita Chobham

Un'ultima curiosità: l'Abrams M1 si è guadagnato il soprannome di "gas guzzler", ovvero "tracannatore di benzina", a causa del suo smodato consumo di benzina, dell'ordine di 450 litri per 100 km. Che dire, anche in periodo di crisi, con il prezzo del petrolio alle stelle, sembrano soldi assolutamente ben spesi, almeno a giudicare dalla prestazioni riprese in questo video... 








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